Castello di Ama

Anish Kapoor

αἷμα

2004

[…] Nella cappellina del Castello di Ama, al centro del pavimento si apre un cerchio luminoso, una piccola accesa voragine. Fuoco e luce. Sostanza preziosa, tanto indefinita quanto ingannevole, e effetto certo: <<[Una] cosa esiste nel mondo perché ha una coerenza mitologica, psicologica e filosofica>>, dice Kapoor in conversazione con Homi K. Bhabha e aggiunge: <<Cioè quando un cosa è fatta realmente...>>.

Siamo allora messi a confronto con che cosa? Che cosa è quello che, nel nostro comune e svagato andare, abbiamo avuto la sorte di incontrare? Qual è la sua necessità, se ve ne è una? Gli ultimi lavori di Kapoor pongono questo tipo di interrogativi. Ora, più ancora che negli Anni Ottanta quando la sua opera si impose nel mondo e sulla scena dell’arte, suona pertinente la sua affermazione secondo cui non ha “nulla da dire, alcun messaggio da trasmettere ad alcuno”.

Se infatti allora si poteva parlare di una ricerca continua, più che sistematica, una ricerca senza soluzioni di continuità, oggi, e in particolare dal gigantesco intervento nel 1999 al Baltic di Gateshead, in quel tempo ancora in fase di ristrutturazione, che aveva il titolo di Taratantara, i suoi lavori appaiono come segni lasciati cadere dall’alto della coscienza individuale dell’artista sulla texture scompaginata del paesaggio attuale. […]

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